Un gruppo di ricercatori dell’IRCCS Eugenio Medea della sede di Bosisio Parini e del Research Department of Educational, Clinical and Health Psychology della University College London di Londra ha avviato una ricerca sugli effetti della depressione in gravidanza sullo sviluppo psicologico e biologico del bambino, dalla nascita fino ai primi tre mesi di vita. Il disturbo depressivo colpisce più del 16% delle donne durante il corso della vita. In particolare, la gravidanza e i mesi post-partum costituiscono delle finestre di aumentata vulnerabilità per la depressione, sollevando pressanti interrogativi circa l’impatto di questa condizione sullo sviluppo fetale e neonatale. Numerose ricerche hanno infatti evidenziato come la presenza di sintomi depressivi pre e post-partum sia associata ad alterazioni comportamentali e fisiologiche nella prole sin dalla primissima infanzia e più a lungo termine. Tuttavia, i meccanismi che possono spiegare l'associazione tra depressione materna in gravidanza ed esiti sfavorevoli nel bambini sono ancora da chiarire. Una possibile ipotesi, denominata “programmazione fetale”, suggerisce che i cambiamenti fisiologici che si verificano nell’ambiente uterino, come quelli che si manifestano a seguito dello stress associato alla depressione materna, influenzino il cervello in via di sviluppo del feto, alterando la sua struttura e il suo funzionamento con conseguenze anche a lungo termine. Lo studio EDI (Effetti Depressione sull’Infante), appena avviato e della durata di 3 anni, è pertanto volto ad indagare i fattori associati alla depressione materna in gravidanza che possono influenzare lo sviluppo del bambino sin dalla nascita. In particolare, verranno indagati alcuni indicatori del funzionamento del sistema di risposta allo stress e immunitario, ipotizzando che i cambiamenti fisiologici associati ad una sintomatologia depressiva aumentino il rischio di problemi nel neonato (es. basso peso alla nascita, prematurità, alta reattività allo stress). Tali difficoltà presenti alla nascita possono essere a loro volta associate ad un rischio più elevato di psicopatologia in momenti successivi dello sviluppo. Verranno a tal fine valutati, tra la 34ma e la 36ma settimana di gravidanza, l'umore materno ed i livelli di stress attraverso questionari, interviste e prelievi di campioni biologici (saliva e sangue), che saranno ripetuti anche dopo il parto. In seguito, in ospedale subito dopo la nascita, verranno raccolti campioni di saliva del neonato per valutare anche la sua risposta allo stress. Infine, a 3 mesi di vita, lo studio prevede una valutazione dello sviluppo cognitivo, motorio e della reattività allo stress del bambino. Inoltre, al fine di indagare come l'ambiente in cui il bambino si trova a crescere può moderare i fattori di rischio prenatale, verrà effettuata un’osservazione della relazione madre/bambino. “La partecipazione a questo studio non comporta alcun tipo di rischio per la mamma e il bambino - spiega Alessandra Frigerio, responsabile del Servizio di Psicologia clinica dell'attaccamento in età prescolare del Medea – e fornirà un importante contributo per individuare nuove strategie per aiutare le donne che sperimentano difficoltà emotive durante la gravidanza”. La ricerca, avviata presso le Aziende Ospedaliere Valduce di Como e Mandic di Merate, è stata finanziata con il contributo di Stanley Thomas Johnson Foundation, Fondazione Banca del Monte di Lombardia e Soroptimist International Club di Lecco.
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