La dislessia evolutiva rende difficile la comprensione del linguaggio verbale e il cervello si adatta per superare gli ostacoli. È il risultato dello studio “Developmental Dyslexia With and Without Language Impairment: ERPs Reveal Qualitative Differences in Morphosyntactic Processing” pubblicato sulla rivista Developmental Neuropsychology, condotto dai ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca e dell’IRCCS Medea, per la prima volta in Italia con il metodo degli evento-correlati. I ricercatori hanno dimostrato che i bambini con dislessia evolutiva e senza alcun pregresso problema di linguaggio hanno anche difficoltà a elaborare il linguaggio verbale.
Lo studio, condotto dai ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca e dai ricercatori dell’Unità di Psicopatologia dello Sviluppo dell’IRCCS Medea, ha coinvolto 48 bambini tra gli 8 e i 12 anni: 16 con una diagnosi di sola dislessia evolutiva, 16 affetti sia da dislessia sia da disturbo del linguaggio e 16 senza problemi di dislessia o di linguaggio. Attraverso la tecnica non invasiva dei potenziali evento-correlati, per la prima volta in Italia, sono state studiate le risposte elettriche celebrali durante l’ascolto di frasi che in alcuni casi contenevano errori di accordo soggetto-verbo (“i bambini parla”, “il nonno mangiano”). Nel corso dello studio è stato inoltre chiesto ai bambini di produrre il plurale di nomi inventati o di declinare un verbo inventato (“oggi ratoliamo”), compito risultato più difficile per i bambini dislessici.
Dal monitoraggio dell’attività cerebrale durante l’esperimento, sono state riscontrate nei partecipanti con dislessia risposte elettriche cerebrali anomale che evidenziano l’utilizzo di strategie cognitive qualitativamente differenti per comprendere il linguaggio orale. Come se il cervello utilizzasse un piano B per comprendere meglio i discorsi e le parole.
«I problemi con il linguaggio orale possono essere evidenziati già in età pre-scolare, a differenza della dislessia che viene diagnosticata a 8 anni – spiega Maria Teresa Guasti, ordinario di linguistica dell’Università di Milano-Bicocca e coordinatrice dello studio -, riconoscerli subito significa mettere in atto un intervento precoce. E’ noto infatti che prima si interviene, migliori sono i risultati».
«Il nostro studio – precisa Chiara Cantiani, ricercatrice al IRCCS Medea - dimostra che tra bimbi affetti da dislessia e quelli senza disturbi ci sono differenze sia quantitative sia qualitative nelle modalità di elaborazione del linguaggio, e un problema con il linguaggio orale ha sicuramente conseguenze sulla lettura».
«Da queste evidenze – dice Massimo Molteni, responsabile area di ricerca di Psicopatologia dello sviluppo del Medea, deve prendere sempre più slancio un percorso scolastico che sappia davvero tenere conto delle differenze di funzionamento dei bambini, affinché ogni neurotipicità sia valorizzata partendo dalle proprie originali modalità di funzionamento». |